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In un mondo in cui il successo di una nazione e i progressi dei sistemi sanitari si misurano sempre di più in termini di crescita, e quindi di prodotto interno lordo, di scaglioni di reddito e patrimoni, la potenza del messaggio di sir Michael Marmot è l’urgenza di poggiare gli aspetti politici e sociali della questione sanitaria anzitutto sul piano morale, e di farlo con il metodo scientifico.
Quella che propone Marmot nel suo ultimo folgorante libro “La salute disuguale” (Il Pensiero Scientifico Editore), è infatti una filosofia evidencebased, basata su decenni di solidi dati, studi, osservazioni, a partire dal primissimo studio Whitehall I all’inizio degli anni Settanta. Il bisogno, l’urgenza, di uno sguardo di sintesi su un problema, quello del ruolo delle disuguaglianze sociali sulla salute, che si misurasse con le domande di senso del nostro stare al mondo. Capire – per citare il titolo del primo capitolo del libro – come si articola “l’organizzazione della miseria”. È un termine azzeccatissimo – miseria – perché connota un concetto di povertà che non riguarda solo il reddito, ma tutti i diversi ambiti che sfiorano le vite delle persone, e che incidono come veri e propri “marchi sui loro corpi”, per usare una recente definizione di Paolo Vineis .
Il dato di fatto è che oggi viviamo in un mondo profondamente disuguale, da tutti i punti di vista. E maggiori sono le disuguaglianze, ci mostra la letteratura, minore è la mobilità sociale. Per chi si trovasse in difficoltà nel credere alle parole di Marmot, è sufficiente guardare qualche dato sull’intenzione di proseguire gli studi dopo la laurea fra gli studenti italiani in relazione alla classe sociale di appartenenza.