Fibrosi polmonare idiopatica: ottimi risultati per nerandomilast 

Lo studio FIBRONEER cambia la prospettiva terapeutica: nerandomilast riduce il declino della funzione polmonare e apre la strada alle terapie combinate

Per chi convive con la fibrosi polmonare idiopatica (IPF) – una malattia rara, progressiva e tuttora non guaribile – il 2025 segna un probabile punto di svolta. Sul New England Journal of Medicine sono stati pubblicati a maggio i risultati del programma FIBRONEER, il più ampio mai condotto finora su questa patologia, che ha testato l’efficacia di nerandomilast, un nuovo farmaco anti-fibroticoUn secondo studio ha portato a risultati similmente positivi anche per le altre forme di fibrosi progressive.

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Fibrosi polmonare idiopatica: una nuova classificazione delle interstiziopatie polmonari 

La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia rara, cronica e progressiva che colpisce soprattutto le persone sopra i 60 anni, più spesso fumatori o ex fumatori, ma non esclusivamente. È una pneumopatia interstiziale caratterizzata da un ispessimento e irrigidimento del tessuto polmonare che compromette la capacità respiratoria. Nella IPF la causa rimane, per definizione, sconosciuta (da qui il termine idiopatica), mentre le forme con causa ben identificabile (farmaci, esposizioni ambientali, malattie sistemiche) rientrano invece nelle interstiziopatie “secondarie”.

In Italia esistono centri specializzati in ogni regione, molti dei quali fanno parte di ERN-LUNG, la Rete di Riferimento Europea (ERN) per le malattie rare dell’apparato respiratorio. Tuttavia, la diagnosi resta spesso tardiva, con un ritardo medio di uno o due anni dall’esordio dei sintomi. “Fare una diagnosi precoce fa tutta la differenza: permette di iniziare il trattamento in una fase in cui la malattia può ancora essere rallentata”, spiega la dott.ssa Claudia Ravaglia, dell’U.O. di Pneumologia dell’Ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì (FC).

Fondamentale per la diagnosi precoce è una corretta classificazione delle forme della malattia. Un panel internazionale di esperti europei ed extraeuropei, di cui la stessa Ravaglia fa parte, ha recentemente proposto una nuova classificazione delle malattie polmonari interstiziali.

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Big data e intelligenza artificiale aiutano a capire meglio l’endometriosi 

Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della California di San Francisco (UCSF) segna un passo importante nella comprensione dell’endometriosi, una delle patologie ginecologiche croniche più diffuse e, al contempo, meno comprese. Grazie all’analisi di milioni di cartelle cliniche anonime, provenienti dai sei centri sanitari della stessa Università della California, gli scienziati hanno mappato centinaia di correlazioni tra l’endometriosi e altre malattie, delineando un quadro più nitido di una condizione che colpisce circa il 10% delle donne nel mondo, spesso senza essere diagnosticata.

L’endometriosi è una patologia cronica in cui il tessuto che normalmente riveste l’interno dell’utero, ovvero l’endometrio, si sviluppa in sedi anomale, causando dolore persistente, infiammazione e, in casi non rari, infertilità. L’unico modo certo per diagnosticarla in via definitiva resta ancora oggi l’intervento chirurgico, e i trattamenti disponibili, prevalentemente ormonali o chirurgici, non sempre risultano efficaci e possono avere effetti collaterali importanti.

Lo studio dell’Università della California è stato pubblicato sulla rivista Cell Reports Medicine e si inserisce in un filone di ricerca che sta contribuendo a ridefinire l’endometriosi come una patologia sistemica, che coinvolge più apparati dell’organismo, e non solo l’apparato riproduttivo. Un cambio di paradigma oggi possibile grazie alla disponibilità di grandi volumi di dati clinici digitali e alle tecnologie computazionali avanzate.

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L’AI sta riscrivendo le regole dell’oncologia per i target “impossibili”

Un articolo publicato su Nature Biotechnology propone un cambio di paradigma: una nuova tassonomia dei bersagli da aggredire e più dati aperti

Per decenni, la ricerca contro il cancro ha dovuto fare i conti con un ostacolo insormontabile: una vasta categoria di bersagli tumorali considerati “inattaccabili” dai farmaci esistenti fino a quel momento. Grazie agli ultimi progressi dell’intelligenza artificiale (AI), questa barriera si sta iniziando a sgretolare. La sua capacità di prevedere strutture proteiche, analizzare sistemi biologici complessi e guidare la progettazione di nuove molecole non ha infatti precedenti. Un recente lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Biotechnology, descrive come l’integrazione tra l’AI e le nuove modalità terapeutiche stia aprendo la strada a un’era di profonda trasformazione.

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